L'art. 38 della Costituzione italiana prevede che "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato".

Nel nostro sistema pensionistico, alle forme di previdenza obbligatoria di primo pilastro si affiancano le forme di previdenza complementare (c.d. secondo pilastro) su base volontaria.

La previdenza complementare, disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252 ha come obiettivo quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base e così permettere di beneficiare, al termine della vita lavorativa, di una pensione integrativa.

La posizione individuale del lavoratore risulta costituita dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alla forma pensionistica complementare e dai rendimenti ottenuti, ed è collegata, oltre che all'ammontare dei contributi versati e dei rendimenti ottenuti, alla durata del periodo di versamento.

Sono previste, inoltre, una serie di agevolazioni fiscali, riconosciute anche a favore dei familiari fiscalmente a carico, che rappresentano una ulteriore opportunità di risparmio.

I destinatari, ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 252/2005, dei fondi pensione sono:

• i lavoratori dipendenti, privati e pubblici;

• i soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;

• i lavoratori autonomi e i liberi professionisti;

• persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;

• lavoratori con un'altra tipologia di contratto (ad es. un lavoratore a progetto o occasionale).

La diffusione della previdenza complementare è legata alla previsione che le pensioni di primo pilastro - a causa del progressivo aumento della durata della vita media (avvenuta a partire dagli anni ’90) e della riforma nel 2011 (passando da un sistema retributivo ad un sistema contributivo) - divengano nel tempo sempre più basse, in rapporto all'ultima retribuzione percepita (c.d. tasso di sostituzione). e delle diverse modalità di calcolo.

A tutela dei soggetti che aderiscono con i loro risparmi alle forme di previdenza complementare (fondi pensione) vigila la COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) mentre al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono affidati compiti di alta vigilanza e di indirizzo sulle forme pensionistiche complementari.

Con l'emendamento al decreto Pa 2 sulla previdenza complementare, presentato da Italia Viva e appoggiato da FdI e dal Governo, quasi 30 milioni di soldi pubblici andranno ai privati.

Inoltre attraverso l’intervento della delega fiscale è altamente probabile che si intervenga per rilanciare la previdenza complementare.

In particolare, è prevista la revisione del sistema di tassazione dei rendimenti delle attività delle forme pensionistiche complementari secondo il principio di cassa.

Attualmente nella fase di accumulo, al risultato di gestione delle forme complementari è applicata un’imposta sostitutiva pari al 20% a fronte dell’aliquota del 26% applicata agli altri strumenti di risparmio.

Inoltre, si ritiene del tutto ragionevole che si superi anche per i fondi pensione la tassazione annuale dei rendimenti maturati.

In un contesto socio economico come quello attuale in cui la condizione dei giovani lavoratori è critica avere la possibilità di costruirsi una seconda pensione appare ormai una necessità improcrastinabile.

Allora ci si pone il problema di considerare l’adesione alla previdenza complementare come scelta obbligata.

Il primo fattore ostacolante è la discontinuità lavorativa.

Va infatti considerato che le interruzioni del rapporto di lavoro (e la conseguente sospensione della retribuzione) incidono negativamente nonché i frequenti passaggi tra una categoria e l’altra.

Bisogna dare l’opportunità, soprattutto al giovane all’aderente di avere una maggiore libertà nella gestione della propria posizione assicurativa presso il fondo pensione, contemplando criteri di flessibilità e di liquidità che non pregiudichino la ratio economica dell’investimento, né il funzionamento operativo delle forme pensionistiche complementari.

Concedere agli individui la possibilità di un ripensamento dal timore di una scelta irreversibile.

Opportuna, dunque, una riflessione sugli scenari possibili della previdenza complementare, che includa l’analisi anche l’ipotesi di una revisione del sistema delle forme previdenziali integrative in una tutela sociale obbligatoria.

Per portare così a ritenere che la previdenza complementare potrebbe rappresentare uno degli strumenti in grado di accantonare regolarmente una parte dei propri risparmi durante la vita lavorativa per ottenere una pensione che si aggiunge a quella corrisposta dalla previdenza obbligatoria con l’obiettivo di offrire risposte adeguate alle legittime aspettative dei giovani di oggi, pensionati di domani.

LA LEGGE

Sono forme pensionistiche complementari: i fondi pensione negoziali, i fondi pensione aperti (art. 12 del D.lgs. 252/2005) i piani individuali pensionistici e i fondi pensione preesistenti.

Le forme pensionistiche complementari, nella gestione degli investimenti, sono tenute al rigoroso rispetto di regole di prudenza, definite per legge. Tali regole devono tener conto della finalità previdenziale e non speculativa dell'investimento stesso. Inoltre tutti gli investimenti devono essere adeguatamente diversificati ed effettuati tenendo conto dei limiti indicati dalla normativa in vigore.

L'adesione alla previdenza complementare è libera e volontaria (art. 1, comma 2, del D.lgs. 252/05).

Il lavoratore dipendente entro sei mesi dall'assunzione può decidere di:

• destinare le quote di TFR ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;

• lasciare il TFR presso il datore di lavoro;

• non decidere nulla. In questo caso il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. Nel caso di presenza di più forme pensionistiche, il TFR è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione al quale ha aderito il maggior numero di dipendenti. In assenza di forme pensionistiche integrative collettive di riferimento, il datore di lavoro deve trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica complementare istituita appositamente presso l'INPS (FONDINPS) (art. 9 del D.lgs. 252/2005);

• destinare il TFR futuro alla previdenza complementare anche in un secondo momento. Il TFR maturato resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.

Il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

Le fonti costitutive possono prevedere la facoltà da parte dell'assicurato di chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica in capitale entro il limite del 50% del montante finale accumulato.

Agli iscritti al fondo è data la possibilità di chiedere, nei limiti previsti dalle fonti costitutive, una anticipazione delle prestazioni per eventuali spese sanitarie, per l'acquisto della prima casa per sé o per i figli e per la realizzazione degli interventi di cui all'art 31 della Legge 5 agosto 1978, n. 457, documentati secondo le disposizioni della Legge 27 dicembre 1997, n. 449. L'anticipazione può, inoltre, essere richiesta per altre cause nel limite del 30% della posizione maturata. Dopo due anni di adesione ad un fondo è possibile chiedere il trasferimento della posizione maturata presso altro fondo pensionistico complementare.