Il mondo è in piena emergenza. Clima, condizioni socio-economiche, guerre, migrazioni, urgenze sanitarie sono il triste bollettino che ogni giorno accompagna le cronache quotidiane in uno scenario che vede sempre più allargarsi la forbice sociale che vede ormai ridotto al lumicino quella classe intermedia che ha sempre sostenuto il tessuto socio-economico di ogni nazione.

Occorrerebbe una totale revisione dei concetti del lavoro, dell'assistenza medica, della cura del prossimo in ogni fascia d'età ma tutto sembra andare nella direzione opposta e ciò genera maggiori incertezze nei cittadini che avvertono, come un fato ineluttabile, il bussare alle porte delle loro vite di drammatiche scadenze.

Le lunghe e tetre ombre di un paventato conflitto mondiale vengono ormai discusse come si trattasse di un evento normale ed è proprio l'inverso di quella banalità del male sottolineato dalla Arendt durante il processo ad Heichmann per le stragi del lager a fare paura poiché peggiore della banalità del male vi è la banalità del bene. Usare il bene o il male è ormai il verbo che sentiamo predicare. Perso il valore assoluto del bene che è oltre ogni forma di orizzontalità con cui si tende ad allargarsi a discapito del prossimo non resta, appunto, che banalizzarlo mettendo in scena il dolore e la disperazione altrui come uno spettacolo con cui suscitare nello spettatore l'impulso a schierarsi da una parte o dall'altra. Ma il dolore è dolore, la morte è morte, la negazione di un'infanzia serena è identica per ogni bambino del mondo.

Operare il bene è l'unico gesto che può generare concordia tra gli uomini ma occorre verità verso sé stessi e verso gli altri.

Il nostro lavoro è di vicinanza al cittadino ed alle sue difficoltà, ognuno porta la sua unica ed originale vicenda e sempre più, noi operatori, ci accorgiamo di come i tempi si fanno sempre più difficili ma siamo qui a condividere e partecipare ogni storia e vicenda affinché si possa operare in bene.